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Musica e Discografia ai tempi del Covid 19: Perdite e Opportunità!

Data di pubblicazione 04/05/2021


Cari amici musicisti e appassionati, scriviamo questo articolo con una riflessione da condividere sul periodo attuale, sperando possa essere interessante e allo stesso tempo uno spunto per altri pensieri.

Dopo il 2020, anno che tutti in Italia ricorderemo per le camionette della protezione civile che giravano per le strade con il megafono che avvertiva del pericolo di contagio, come in un film di fantascienza su Netflix, eccoci nel 2021 nel quale una sorta di fastidiosa normalità distopica ci chiude in casa alle 22. E proprio ora vogliamo andare ad analizzare la situazione del campo dell'entertainment, cercando di dare un quadro più completo possibile e, magari, fare emergere nuove prospettive, nuovi punti di vista.

Dato di fatto. Migliaia di persone che lavoravano nel mondo dello Spettacolo hanno perso il lavoro.

 

Intorno al mondo dello spettacolo ci sono migliaia di operatori. La polemica che fece tanto discutere all'inizio del 2020, non ricordiamo se fosse Tiziano Ferro o Jovanotti (ce ne scusiamo) poco cambia, in realtà era una polemica senza senso. Se Tiziano Ferro non fa spettacoli, non è un problema solo per Tiziano Ferro, ma per tutti quelli che lavorano per tradurre in realtà il suo spettacolo, dalle aziende che vendono i biglietti ai montapalchi. E questo è un danno economico immenso. Fortunatamente, per fonici montapalchi e addetti al marketing (non per Tiziano Ferro) ci sono più ammortizzatori sociali che due anni fa, a partire dal reddito di cittadinanza, ma è chiaro che non basta. Lo stesso vale per diverse aziende legate per esempio all'abbigliamento o alla ristorazione: non c'è solo "Cracco" o "Elisabetta Franchi", le punte dell'iceberg sono solo quello che è più in risalto di interi ecosistemi produttivi.

Danni al mondo dello spettacolo, ok. Ma per capire gli effetti della pandemia Covid 19 sul mondo della Musica dovrebbe esserci un'idea univoca di Musica, che invece non c'è affatto.

Nelle accademie e nelle scuole, per Musica si intende l'arte del linguaggio musicale (il linguaggio, le note, i grandi compositori) o della performance dal vivo (il talento performativo, lo strumento e i suoi virtuosi). Per la maggior parte delle persone, invece, musica è solo la live performance mista a showbiz, un mix che in realtà nulla ha a che fare con l'arte. Poi c'è la discografia, o come vogliamo chiamare tutta la musica che nasce con la programmazione di un sequencer, a prescindere da una live performance e senza alcun foglio di carta alla mano. Una "nuova" arte che di fatto non è riconosciuta come tale praticamente da nessuno, accademici e non.

Noi abbiamo sempre sostenuto che la discografia, o comunque la musica che da Pierre Henri e Battiato va fino a Guetta e ai Royksopp sia una forma d'arte totalmente diversa dalla performance dal vivo o dalla scrittura musicale notazionale. Siamo stati i primi a sostenere che scuole e salotti vari avrebbero dovuto dare un nome e individuare questa nuova forma d'arte. Lo avrebbero dovuto fare non appena la musica fosse diventata riproducibile tecnicamente, cioè a fine 800. Esattamente come è successo per il cinema che si è staccato dal teatro, per la fotografia che si è separata dalla pittura e così via.
Ma questo non è successo neanche ora che per vari motivi dovuti appunto ad una disgraziata pandemia virale e alle sue conseguenze, è l'unica forma d'arte musicale sopravvissuta.

Linguaggio musicale, la performance musicale, l'arte senza nome. Siamo costretti, ogni volta che parliamo di Musica, a specificare di quale musica parliamo!

Oggi l'Ottava Arte (se la Settima è il Cinema..) non ha un nome che la riconosca in quanto tale: noi abbiamo usato il termine Discografia, ma si tratta di un nome superficiale in quanto rimanda di più al business di riferimento che all'esperienza artistica che ci sta dietro.

Il nome "fotografia" ci mise anni di dibattiti intellettuali ad essere utilizzato. Baudelaire era contrario. Ma poi arrivò. Il Cinema stava per fare la fine della musica elettronica, ma per fortuna il contenuto ha preso il nome dal materiale utilizzato per la visione (il "film" cioè la pellicola) e l'arte dal luogo di fruizione (il cinema, appunto). Ecco che quindi nel caso musicale abbiamo il "disco" per definire l'oggetto, ma il termine "discografia" non è perfetto, poichè è un termine che si applica anche e partire dalle incisioni storiche dei primi anni Trenta, che nulla hanno a che fare con quello che si fa oggi. 

Paradossalmente il 99% dei critici musicali che si dichiarano tali sono convinti che una buona esecuzione della Quarta Sinfonia di Mahler sia un disco di valore artistico e Junior dei Royksopp (un disco a caso) un'operazione commerciale, quando in realtà è l'esatto contrario. La quarta sinfonia è un'opera d'arte a prescindere da come viene eseguita, e una buona orchestra ben diretta può fare un ottima performance: ma il disco è solo un'operazione tecnica. Junior dei Royksopp è invece un'opera d'arte a partire proprio dal disco. Lo spartito non lo ha mai visto nessuno e la performance viene fatta a fini commerciali per promuovere l'opera. Mi seguite?

La Nuova Arte, con qualsiasi nome la vogliamo chiamare, è composta di tante forme artistiche messe insieme, esattamente come tutte le forme d'arte nate con la modernità. Così come il Cinema racchiude in sè teatro, musica, fotografia, talvolta pittura, danza o poesia, anche un'opera discografica è fatta da tante arti: la performance musicale, la scrittura, ma anche dalla danza, pittura e  fotografia, in alcuni casi anche dal cinema, come succede per certi videoclip che di fatto sono cortometraggi. 

Delle tre Arti che compongono ciò che chiamiamo "Musica", Linguaggio Musicale e Ottava Arte sono indietro rispetto alla Live Performance. Un problema culturale e didattico ma anche nuova opportunità: è il momento di colmare il gap?

Veniamo quindi al punto che ci aiuterà a capire di quali opportunità stiamo parlando, legate al periodo storico attuale. Ci sono vari esempi che possiamo portarvi per raccontare come ci sia, nel mondo che ruota intorno all'esperienza musicale, un sostanziale sbilanciamento a favore della performance (non usiamo a caso il termine anglosassone...) rispetto alle altre dimensioni artistiche, riconosciute come tali o meno. Non è infatti solo la "nuova arte" ad essere sacrificata dal sistema, ma anche il buon vecchio caro metodo tradizionale, per il quale la musica è nient'altro che un linguaggio, è tutt'altro che considerato.

Partiamo per esempio dai bambini delle elementari a cui vengono affidati inutilmente strumenti musicali (tastiere, flauti) senza che abbiano alcuna conoscenza teorica o emotiva della musica. Come se, per insegnare la matematica, si andasse avanti dalla prima alla quinta elementare con un pallottoliere senza però insegnare le tabelline. Pallottolieri sempre più grandi e complessi senza mai specificare che, il motivo per cui devono imparare a fare 12 diviso 4, è innanzitutto quello di saper imparare a spartire 12 caramelle fra 4 amici. La mancanza totale di insegnamento teorico della musica sembra quasi fatto apposta per far desistere i bambini dall'apprendimento musicale: capiamo che spiegare a un bambino che quello che tutti chiamano "do" sul pianoforte può essere in realtà un "si diesis", ma se non lo si fa da subito il bambino non capirà mai quello che sta facendo per tutta la vita.

Quindi già di per sè l'educazione musicale tradizionale è un disastro, per non parlare dell'educazione a quella che chiamiamo "Nuova Arte": quella non esiste. Nessun insegnante sarà mai in grado di spiegare a un bambino perchè i Royksopp sono dei grandi artisti e il loro suono è magia/scienza di altissimo livello: non esistono i presupposti. Ci saranno gli insegnanti vecchio stile che faranno un'analisi di teoria funzionale di "the Girl and the Robot", ricavandone che alla fine c'è di meglio da quel punto di vista, e gli insegnanti moderni che daranno tutto il merito della riuscita della canzone a Robyn, che è la performer di punta.
Questo è un danno alla musica ingente.

Vi chiederete dove punta l'educazione musicale, non solo in senso scolastico ma anche a livello di sistema. L'unica educazione che viene fatta, musicalmente parlando, è sulla performance. Motivo per il quale assistiamo alla patetica scena del bambino che prova a suonare per Elisa di Beethoven come esercizio fisico, lo stesso bambino che da grande poi si troverà poi da grande ad essere felice spettatore di X-Factor. La performance come forma quasi religiosa.

Oggi chi ha più possibilità di diventare un bravo musicista fin da piccolo, non è chi ha più empatia o orecchio per la musica, ma più coordinazione motoria nelle mani. E chi ha la possibilità di diventare il miglior cantante è chi ha la migliore condizione fonogenica strutturale dalla nascita.

Se si punta tutto sulla performance dal vivo insegnando male il linguaggio musicale e ignorando la Nuova Arte già dalla scuola, si arriva a produrre un sistema vuoto e arido, nel quale riescono ad emergere solo i talenti naturali nel senso di superdoti fisiche, come possono essere le doti di uno sportivo. "Marco diventa alto, giocherà a pallacanestro / Luca ha le dita veloci, diventerà pianista". Un mondo in cui l'agonismo e il talento fisico prevalgono sull'arte poi non ha gli strumenti per decifrare la scena "trap", che di fatto è un trattato di sociologia "gli adolescenti e la sottomissione al sistema di oggi". Vi consigliamo un libro edito da Uno Editori "La Musica e i suoi nemici": qui il tema viene affrontato ampiamente. 

E oltretutto, puntando tutto sulla performance e senza una cultura del disco, tutto il giro sarà controllato da pochissimi soggetti. Tutti i big vanno tutti dagli stessi autori e negli stessi studi, non è un caso. Il giorno che vedremo Cremonini e Carboni passare dagli studi Miraloop per chiedere informazioni vi scriveremo che avevamo torto.

La pandemia ha avuto un impatto devastante sui performers, ma non ha avuto impatto negativo sulla Nuova Arte musicale perchè non essendo considerata -di fatto- una forma d'arte, non esiste un alcun luogo fisico adibito alla fruizione di musica registrata. Spotify non è un luogo.

Il tanto desiderato (pare solo da noi) luogo fisico di fruizione della "nostra forma d'arte", non esistendo, non è stato colpito dalla pandemia. Pace. Tralasciamo il dibattito tanto in auge dove si discute del fatto che i governi di mezzo mondo abbiano fatto bene o male a chiudere i cinema, teatri e discoteche per evitare che la popolazione si rilassasse troppo: questo è un dibattito duro e a prescindere dalla nostra posizione (meglio tacere!) andremo fuori tema.

Concentriamoci piuttosto sul fatto che, mentre c'è un legame indissolubile tra Cinema (luogo) e Cinema (arte), Teatro (luogo) e Teatro (arte), non c'è alcun legame tra un luogo fisico e la Discografia intesa come forma espressiva o artistica.

Oggi la discografia non è neanche più nei negozi di dischi, che non esistono più, oggi la discografia è sulle piattaforme di vendita e streaming dei colossi digitali. Google, Apple, Spotify, Amazon. E a seguire le piattaforme di nicchia per appassionati come Beatport.

Qualcuno dirà che il luogo dove si ascoltano i dischi sono le discoteche, altra grande vittima della pandemia. Ma le Discoteche non sono il posto "dove si ascoltano i dischi". Possono esserlo state, per un breve periodo, ma sappiamo tutti che non è andata così. Oggi le disco sono più che altro dei luoghi dove la gente va vestita figa a bere sperando di portare a letto qualcuno e dove, anche in questo caso, è la performance a far da padrona: alla maggior parte della gente che va in discoteca dei dischi non gliene frega nulla, chi è interessato alla musica cerca comunque uno show, uno spettacolo: non si accontentano di ascoltare dei dischi, hanno bisogno di un Dj "di grido", uno famoso che fa la performance. Questo fatto venne denunciato in primis dal grande Claudio Coccoluto recentemente scomparso, che ricordiamo: Coccoluto fu tra i primi a dire che i Dj erano pedine di PR e organizzatori perchè di fatto non era la musica il punto per cui la gente andava a ballare.

Neanche le discoteche sono un vero luogo di fruizione dei dischi, perchè non c'è alcun vero legame tra la musica da discoteca e le discoteche.

Fateci caso, quando quest'anno hanno chiuso le discoteche, la produzione di musica House (per dire un genere che si balla in discoteca) non si è fermata, anzi: è aumentata. Sono nate così tante nuove produzioni musicali tra marzo e dicembre 2020 che basterebbero a fare da sole un nuovo portale grande quanto il primo Beatport.

Per intenderci, non ci pare che durante un anno di teatri chiusi siano nate tante compagnie teatrali...o nuovi spettacoli teatrali. Per sopravvivere le compagnie hanno dovuto inventarsi nuove strategie per monetizzare, ma non facendo nuovi spettacoli. Questo  perchè il legame tra arte teatrale e il teatro luogo fisico è indissolubile e inevitabile.

Come dicevamo poco fa, oggi un "luogo" -se così possiamo definirlo- dove si ascoltano i dischi è quindi una piattaforma online. Prendiamo ad esempio Spotify. Bene, non vi sorprenderete se vi diciamo che Spotify, durante la pandemia, è cresciuta tantissimo. Ha superato i 100 milioni di utenti e le azioni di Spotify Technology S.A., sull'indice Nasdaq, sono cresciute dai 126 dollari del 16 marzo ai 319 del 30 dicembre 2020! Niente male vero? Pochi giorni fa dalla scrittura di questo articolo, la vendita dei vinili ha superato la vendita dei cd che non accadeva dal 1991. E l'intero music business nel 2020 è cresciuto di 1,5 miliardi dollari.

E giusto per fare esempi più ridimensionati, dato che Spotify è di fatto un colosso, possiamo dirvi che quest'anno anche la produzione di Miraloop è stata in crescita. Per darvi qualche numero nel 2020, anno della pandemia, la casa discografica di Miraloop ha dato vita a 26 pubblicazioni (di cui 10 album e 16 singoli) per un totale di 100 brani, che hanno generato più di un milione e mezzo di streaming.

Il mondo della musica non può prescindere dalla performance, è chiaro, ma neanche essere soltanto quella. E ora abbiamo l'opportunità di recuperare tantissimo.

Posto che il mondo dello spettacolo ha subito un duro colpo, se noi però guardiamo gli eventi con lucidità ci accorgiamo che in realtà la separazione tra mondo dello showbiz e il mondo della produzione artistica non fa così male. Anche perchè non sarà per sempre. Diventa quindi fondamentale cercare di vedere quali sono le opportunità. 

Opportunità numero 1: migliorare la formazione musicale

La formazione musicale non deve essere intesa solo come un'opportunità intellettuale, ma anche economica. Riformuliamo l'insegnamento della musica, diamo modo al business dell'intrattenimento di evolversi, aumentiamo le possibilità. Nella musica, come nello sport, la formazione è parte integrante del sistema, anche se non tutti i bambini diventeranno Ed Sheeran e non tutte le bambine Dua Lipa. Va risettato l'insegnamento e ristrutturandolo aumenteranno le possibilità economiche, sia dal punto di vista degli insegnanti, sia per chi impara un nuovo mestiere. Smettiamola di dare alla performance tutto il quid dell'arte musicale: non c'è spazio per tutti di performare dal vivo, ma c'è spazio per tutti di conoscere la musica e amarla.

Opportunità numero 2: rivoluzionare i luoghi per la musica dal vivo per quando tutto sarà finito

Mentre in nazioni come i Paesi Bassi o la Germania le discoteche sono un luogo di incontro molto più "easy",  in Italia le discoteche sono luoghi sempre ostici da frequentare: troppo in periferia (bisogna prendere la macchina e non si può bere), orari allucinanti (arrivi alle due e devi fare mezzora di fila per entrare), costi eccessivi rispetto all'offerta di intrattenimento. Molto spesso c'è musica di merda - scusate il francese - e chiunque sa che per trovare un partner Tinder è più affidabile e meno costoso.

Le discoteche devono ritornare alla musica e smetterla di essere dipendenti da PR e organizzatori. In tempo di pandemia le discoteche hanno preso un colpo dal quale difficilmente si riprenderanno, e allora cerchiamo di ricostruirle. Portiamole verso la musica. E allo stesso modo lavoriamo per dare alla musica luoghi di espressione indipendenti dagli schemi dello show business. Lasciamo ai big i concerti negli stadi, è tutto il resto del sistema che deve maturare e crescere.

Non è possibile in una città come Bologna, la città dove viviamo e lavoriamo, la cui area metropolitana racchiude 1 milione e mezzo di persone, avere qualche decina di locali dove ascoltare musica. E pensare che Bologna è Città della Musica Unesco, perchè ci sono anche intere città di centomila abitanti senza neanche un locale! Vi pare un modello che può creare un sano e virtuoso meccanismo capace di offrire reali opportunità di lavoro? No, non lo è. Tanto che i piccoli musicisti che suonavano in giro in maniera casuale non hanno praticamente perso niente. Le cento euro che prendevano (spesso in nero) dal piccolo locale le possono fare in tanti altri modi. Sono i grandi che ci hanno perso, ma i grandi hanno le spalle coperte. Ora vanno strutturati nuovi modelli di fruizione della musica, sia quella registrata (discoteche) sia quella legata a performance. Anche perchè quando finiranno le regole restrittive per evitare i contagi ci sarà un forte bisogno da parte della gente a godere di serate musicali: approfittiamone!

Opportunità numero 3: migliorare il proprio progetto discografico, la musica non è solo la performance dal vivo

La maggior parte degli artisti puntano tutto sui concerti dal vivo in città dove la musica dal vivo non è di fatto un business. E in epoca di pandemia ha vinto chi ha invece puntato sulla discografia. I progetti di coloro che avevano lavorato discograficamente bene sono decollati nel 2020 piuttosto che nel 2019. Non stiamo dicendo che il live è inutile, ma che non può essere tutto. E di fatto non lo è stato, per cui se questo periodo storico ci ha insegnato qualcosa possiamo dire ora ci sono grandi opportunità per strutturarsi discograficamente e crearsi un pubblico a prescindere dagli spettacoli dal vivo. Non stiamo parlando di spettacoli in streaming, stiamo parlando di musica bella da ascoltare a prescindere dagli spettacoli. Anche perchè lo sappiamo tutti che il concerto in streaming è una bolla. Prima di tutto è triste, ma triste davvero. In secondo luogo non è un business, perchè va bene se sei Ed Sheraan con una fan base di milioni di persone, ma se sei un musicista normalissimo che godeva ovviamente anche del pubblico del locale dove andava ad esibirsi, è molto facile che per il concerto in streaming venda cinque biglietti. Non certo perchè non sa suonare, semplicemente perchè nello spettacolo musicale molto spesso la musica è un contorno, e anche se questo è un fatto difficile da accettare per molti i musicisti, è un fatto insindacabile.
Del resto non ci stupisce che la pandemia abbia prodotto i "concerti in streaming", oggi la musica è solo considerata una performance e così il sistema ha reagito. Ma forse è il caso di cambiare per un attimo punto di vista. 

L'opportunità di cambiare c'è. Pensateci su...!







           

 




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