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Perchè in Italia ci sono tantissimi artisti di talento ma poche scene musicali originali?

Di Gerolamo Sacco
Data di pubblicazione 28/02/2017


(di Gerolamo Sacco)

Ciao a tutti, voglio condividere questa riflessione con tutti voi sulle scene musicali e la musica in generale, in particolare relativamente alla situazione italiana di oggi.

Partiamo da un fatto inequivocabile che è molto positivo: l'Italia è una fucina di talenti mostruosa. La cosa su cui mi interrogo ogni giorno, come direttore artistico di quattro progetti discografici ma anche come dj, come produttore di musica, ma anche semplicemente come ascoltatore, è come mai ci siano così poche scene musicali originali a dispetto di così tanti talenti e tanta creatività. Per chi avesse dei dubbi sul fatto che il nostro paese è fuori dall'ordinario in tema di musica, abbozzo qualche (...) contributo che ha dato l'Italia alla musica fino ad ora.

Le sette note / la notazione / i primi libri di musica, scritti a mano / i primi libri di musica, stampata / la prima "hit" della storia / il canto / il canto delle donne (già) / l'opera, il recitato e le arie / il clavicembalo / il pianoforte / violino, viola, violoncello / altri strumenti / l'orchestra / la canzone (!) e sono solo arrivato al 1600..., per brevità saltiamo 400 anni e andiamo direttamente dal dopoguerra ad oggi. Primo festival musicale (Sanremo 1951) / il primo talent show (il mitico Cantagiro) / la canzone pop elettronica (da Areknames di Battiato fino a Moroder 1975 con la più famosa I Feel Love) / il vinile "bianco" (cioè senza etichetta) / il primo streaming audio (Pietro Grossi) / la musica dance (per intenderci quella che parte con Ride on Time, 1989). Attualmente, nel mondo dei VST, l'Italia è presente con un'azienda come IK Multimedia, della quale sono felice cliente, a mio parere la migliore al mondo insieme a Native Instruments (Germania) e Waves (Israele)

Nonostante questo contributo alla musica, l'Italia fa fatica a creare scene nazionali variegate, variopinte e originali. Riesce invece benissimo a rimanere una fucina creativa che, fortunatamente, esporta grandi invenzioni, ma senza sfruttare le nostre potenzialità. Qualcuno, lo so già, incomincerà a tirare in ballo la politica, la crisi e altre cose d'attualità, ma non è la risposta: non stiamo parlando di siderurgia, metallurgia, o mercato immobiliare. Stiamo parlando di scene musicali. Tutto va analizzato con la lente appropriata. Proviamoci, in dieci passi.

1) L'Italia non è consapevole di se stessa, si ritaglia nel mondo un ruolo marginale che non ha e che non ha mai avuto.

Con il cibo abbiamo rischiato, ma ce la siamo cavata: oggi nessuno pensa che la pasta al pesto sia un'invenzione americana. Forse gli americani sì, ma sicuramente non gli italiani, che su questo non hanno dubbi. Guardate invece nella musica. Mi sono imbattuto per caso su Wikipedia alla pagina della categoria "strumenti musicali italiani": pensavo di trovarci il clavicembalo, il piano, il violino, e cioè tutta l'orchestra (non a caso la parola inglese di orchestra è proprio orchestra, in italiano). E invece trovate un elenco davvero bizzarro: launeddas, fischiotto, vattacicirchie, zampogna tra i più famosi. Credetemi, non ho nulla contro il fischiotto e tutti gli altri strumenti meravigliosi delle culture rurali del sud Italia e dell'alta montagna, il problema è che questo variopinto campionario non è rappresentativo. Dov'è sono il violino, dov'è il pianoforte? Questa pagina non si dovrebbe chiamare "strumenti musicali italiani", piuttosto "strumenti italiani sconosciuti all'estero" oppure "strumenti italiani popolari in comuni con meno di 600 abitanti". Sarebbe come, nella categoria cibi italiani, togliere tutti i tipi di pasta, pizza, formaggi, dolci, piatti di carne e di pesce conosciuti e citare giusto il pane Carasau, bagna cauda e spumini, chicche locali che comunque sono più famosi del fischiotto. Date un occhiata voi stessi:

E siamo solo all'inizio.

2) La critica musicale italiana inesistente fa danni incalcolabili in ogni settore.

La critica musicale italiana è quasi tutta inadatta ad affrontare il mondo della musica italiano. Non dico tutta e non voglio offendere nessuno. Sto generalizzando? Sì, è ovvio. Ma non sempre a generalizzare ci si sbaglia. Mi raccomando, ditemi la vostra, io la vedo in questo modo: la creatività italiana è per sua natura una creatività da esportazione, e cioè una creatività che nasce per girare il mondo. Essendo il mondo, culturalmente parlando, un prodotto in buona parte italiano (avendo inventato, tra le altre cose, cristianesimo e derivati, i soldi, le banche, le università, gran parte degli strumenti musicali, il 70% delle opere d'arte del mondo, la maggior parte di varietà agricole, le sette note, la radio, il microchip e il personal computer) andrebbe inteso per quello che è. Invece la critica musicale italiana, nell'intento di mostrarsi intelligente, snob, sofisticata, non solo finisce per non esserlo, ma anche per fare danni incalcolabili. Per piacere alla critica musicale italiana, se sei un musicista, non devi fare hits, devi essere politicamente orientato, devi seguire il modello dell'ordinary guy, in poche parole non devi dare fastidio. E soprattutto devi comprarti il consenso. E invece io ritengo che l'artista vero sia proprio quello che da fastidio, senza comperarsi nessuno. Ma entriamo nello specifico.

  • Classica / contemporanea. In questo settore la critica è ormai interdipendente con le scuole di musica. Non c'è ricerca sul mercato e non c'è mercato sulla ricerca. Ma soprattutto la critica non vuole sentire melodie. La melodia è intuitiva, quindi farebbe sdoganare artisti che magari non hanno neanche il decimo di composizione. Funziona invece l'atonale, la stonatura, il rumore. L'avanguardia politicizzata. Tutto rigorosamente scritto su partitura. Se esistesse una vera critica musicale stroncherebbe sul nascere quasi tutti i maestri di musica dalla Germania alla Sicilia, le loro scuole, e i loro studenti atonali come robot ma grafomani come notai del diciannovesimo secolo. Ma in realtà una critica seria di musica contemporanea non esiste.
  • Rock. Se non sai cantare, usi vecchi pre amplificatori, ti pettini vintage, soffri, hai sofferto, non fai canzoni particolarmente orecchiabili e il sound è sempre quello che esce dalla sala prove hai una chance con la critica. Molti ragazzi questo l'hanno capito, e per questo sono quasi tutti cloni dei Marlene Kuntz, da 20 anni a questa parte: ogni tanto qualcuno paga un ufficio stampa e magicamente compare un articolo su di loro in qualche remoto angolo della rete.
  • Pop. Alla critica non piace il pop. Se fai pop però puoi adottare degli stratagemmi per guadagnare il favore dei critici, come usare strumenti etnici dal vivo, non avere un suono originale, guardare fisso in camera con la faccia scocciata e possedere caratteristiche che poco hanno a che fare con la musica, come essere omosessuale, straniero, oppure orientato politicamente.
  • Elettronica. Nel caso della musica elettronica la critica musicale è attenta se non hai mai venduto qualche copia, se non fai festival, se non scrivi canzoni, se i tuoi live sono frequentati da punkabbestia, se i tuoi dischi suonano vecchio oppure sono fatti completamente da macchine o entrambi, ma soprattutto se non suoni nelle discoteche e non fai divertire la gente. Se vai davanti a una platea di sballati a fare suonare una loop machine con una felpa color verde militare hai gli intellettuali dalla tua, sei a colpo sicuro. Un giorno in una grande libreria ho adocchiato un testo che parlava dei grandi artisti dell'elettronica, diviso per nazioni. Vado all'Italia, aspettandomi di trovare per primo l'immenso e supremo maestro Giorgio e poi almeno 50 pagine di materiale. Sapete, l'elettronica italiana è come dire quella francese, o quella inglese, o quella tedesca, e cioè -che piaccia oppure no- è tanta roba. Da Moroder a Mauro Picotto, da Gigi D'agostino a Benny Benassi, la dance l'abbiamo fatta quasi tutta noi, ad esempio, senza citare le avanguardie. E invece il libro chi citava? Marco Carola. Solo lui. Alla pagina dopo c'era il paese successivo. Ecco, Marco Carola è l'esempio dell'elettronica che piace alla critica musicale. Un bravo dj (tecnicamente è bravissimo), cassa dritta e loop senza dare troppo fastidio, nulla di orecchiabile, suoni già sentiti, roba da club dove ci entri con la tessera Arci/sport, dentro è buio pesto e si può fumare. Sia chiaro non penso che Carola non sia valido, per carità, ma non può certo rappresentare l'elettronica italiana da solo. Non ha proprio senso.

3) Le Multinazionali in Italia hanno a che fare con il primo mercato locale del mondo, ma lo lavorano indipendentemente dagli altri solo in un genere: il pop.

Questo punto e il prossimo sono per appassionati. Entrambe le riflessioni che farò partono da un unico dato: l'Italia è il primo mercato "locale" del mondo, e cioè è il paese dove più si acquista musica prodotta in casa. Al secondo posto c'è la Francia. Dato relativamente recente, tratto dal Digital Music Report 2015. Per capirci, considerate che l'Italia è l'ottavo mercato musicale del mondo in assoluto (Usa-Giappone-Uk-Germania-Francia-Australia-Canada-Italia) ma in tutti e sette i paesi che ci precedono la musica acquistata viene per lo più da altri paesi. Questo dovrebbe produrre, in teoria, un'attenzione da parte delle multinazionali che va oltre la musica pop, ma non è così.

Ve ne accorgete, anche se non siete del mestiere ma semplici appassionati, solo osservando. Se andate sul sito della Sony, o della Universal, sulla home page di iTuneso di qualsiasi altro big player mondiale dell'industria dell'intrattenimento, noterete che la divisione italiana si occupa solo del mercato mainstream, cioè il calderone della musica pop mentre globalizza tutto il resto. Eppure si potrebbe parlare di scena jazz o techno o contemporanea italiana, vista la produzione massiccia di musica. Nella pagina "elettronica" di iTunes store, ad esempio, gli spot valgono solo per le pubblicazioni internazionali. Questa macro operazione coordinata dei big, tra l'altro, fa sì che, paradossalmente, in Italia è più facile emergere facendo pop music rispetto a un paese come gli USA, dove invece è molto più facile farsi conoscere con un genere di nicchia, parlando a pochi ascoltatori -ma attenti- e pronti a darti fiducia (senza che tu debba investire una fortuna). Anche perchè costruire una scena musicale partendo dal pop non è facile, essendo il pop, per antonomasia, un raccoglitore, un pentolone che unisce varie scene sotto un unico grande cappelloE così le scene underground italiane si trovano ad essere solo copie di cose che succedono altrove. Per forza di cosa, per logica. Una volta ne parlavo con un tizio il quale, preso da un improvviso ed estremo sussulto di provincialismo disse a proposito "per questo voglio cambiare paese". io dico "cambiate voi iTunes", più pratico.

4) Le Multinazionali non stanno identificando la musica italiana come categoria "a parte" tra musica latina e mondo anglosassone.

Questo problema nasce sempre da un errata valutazione delle potenzialità da parte dei big players e si ritrova, in maniera identica, anche in Francia. La Francia, come l'Italia, non è la Spagna, che invece butta i suoi prodotti culturali in mezzo a quelli sudamericani (Ah, Cortez, Cortez...il reggaeton è colpa tua). La Francia infatti è latina, linguisticamente parlando, ma non direste mai che gli Air, Alizeè e Plastic Bertrand (tre a caso..) fanno musica latina. I francesi fanno musica francese. E la stessa cosa vale per l'Italia. E non solo in ambito di musica pop. La tarantella del Salento ad esempio, è molto più vicina alla musica turca o greca che a quella spagnola. L'Italia dimostra di quindi di essere una cultura a parte e ha anche un suo mercato ben definito, ma non ha una sua definizione di genere, non ha una sua critica indipendente tantomeno una sua visibilità culturale. Se, durante un viaggio oltremanica, vi capita di andare su iTunes USA, noterete che là gli artisti italiani sono categorizzati in "musica latina" solo se vendono anche in Sud America; gli altri invece sono in mezzo al calderone Europeo dove, chiaramente hanno meno spazio rispetto ai cantanti di scene e lingua inglese, che sono "globalizzati" tutti insieme nell'intera anglosfera che va dalla Svezia alla California. Questa ignoranza, sia chiaro, non danneggia soltanto l'Italia, ma anche Francia, Giappone, Brasile e tanti altri paesi che hanno una musica e una cultura indipendenti.

5) I ragazzi si autocolonializzano culturalmente

No. Questa non ve la posso spiegare, verrebbe fuori un saggio di antropologia. Comunque quando vedete un gruppo di Roma che fa testi in italiano, concerti in Italia ma il nome è una cosa tipo "The sound of collision" e la bio della band è in inglese..beh, fatevi le stesse domande che mi faccio io.

6) La libertà di stampa

I quotidiani, la maggior parte, vanno avanti a finanziamenti della politica e delle multinazionali, quindi parleranno sempre e solo di scene già stanziate, super famose, super super conosciute e che vogliono fare conoscere. Devono attrarre investimenti e lettori prima che fare informazione. Spesso gli articoli parlano di quanto vende questo o quell'altro artista, almeno due o tre anni dopo che è già diventato una star. Se parlano di uno che non è famoso, allora vedi punto 2. Troverete quindi articoli su queste due categorie, i big e gli amati dalla critica. Fedez e sui Baustelle, gli AC/DC e Luigi Tenco, I Queen e I Cani, Michael Jackson e Elio e le Storie Tese. Potrei andare avanti per ore. Anche di David Guetta e Marco Carola.

7) Nel mondo anglosassone è più facile emergere ma difficile rimanere. Nel mondo latino, e specialmente in Italia, l'esatto contrario

Qualcuno di voi penserà che Peter Gabriel, Sting, Paul Mc Cartney, non fanno più dischi. Non è vero, li fanno ancora. Semplicemente non gliene frega più niente a nessuno. Quando in Inghilterra esce il nuovo disco della vecchia star finisce quasi sempre dietro a quello di un ragazzino di 18 anni che arriva da Youtube. In Italia invece Vasco Rossi e Ligabue possono tranquillamente fare la stessa canzone per altri 50 anni e saranno sempre miti assoluti nelle classifiche e nelle rotazioni radio. Alcuni parlano male di questo aspetto, io non ne parlo ne bene ne male. Ha i suoi pro e i suoi contro. Però questo non aiuta la creazione di nuove scene musicali.

8) i musicisti non hanno ancora capito che, se non si uniscono, non vanno da nessuna parte. Il pubblico invece è unito, graniticamente.

Nella foto vedete i mitici J Ax, Fedez e Nek. Un esempio di unità nel mondo discografico italiano e non a caso, di una vera e propria "scena" artistica pop. Specifichiamo: questo aspetto di base ha poco a che fare con l'Italia ma, piuttosto, con la società di oggi in tutto il mondo civilizzato. Una società abbastanza individualista ma allo stesso tempo normalizzata. Sembra un paradosso, ma non lo è, è anzi il ritratto esatto di quello che vediamo oggi. Insomma oggi le persone tendono a sentirsi unici quando fanno qualcosa che fanno anche tutti gli altri. Immaginate le declinazioni in musica, di questo aspetto. Come dicevo all'inizio, qui si parla di mondo, è un fatto generale che tra l'altro viene dalla cultura english, però l'Italia è uno dei paesi globalizzati e quindi non è immune da tutto ciò. Di fronte ad una situazione del genere, i musicisti dovrebbero essere tutti completamente uniti, lavorare insieme scene diverse, target diversi. Invece si copiano tutti fra di loro, allo stesso tempo facendosi la guerra. Solo unendosi potranno parlare a un mondo che li aspetta, compatti, su non più di due o tre piattaforme. Questa risposta da parte degli artisti in alcuni paesi è venuta naturale. Sicuramente negli USA e in molti paesi anglosassoni, specialmente in Svezia. Un amico americano un giorno mi scrisse. "un italiano fa come dieci americani, ma l'italiano è da solo, gli americani si muovono sempre in venti". Ironico, o no?

9) Le radio grosse seguono i soldi, le radio piccole seguono i grossi.

Le piccole radio potrebbero davvero fare i numeri. Invece più sono piccole più si contendono l'ultima hit di Alvaro Soler, quasi fosse una nemesi. Si annullano da sole, lavorando gratis per i big, poi dopo un po' sono costrette a vendere le frequenze a qualcuno che, per passare Alvaro Soler, ci prende dei soldi. C'è qualcosa di sacro in tutto questo. Le radio grosse invece ricevono pacchetti di sponsorship milionari. Non ho nulla contro l'economia liberale, però spesso diventa monotona, davvero un bel po'.

10) Meglio i Queen del Pulcino Pio? I brutti scherzi dell'insicurezza.

Siamo giunti ora all'ultimo punto. L'ultimo, ma non per questo il meno importante, anzi fondamentale. Last but not least dicono i nostri amici Brexit. Un giorno giravo per i social network nel consueto check giornaliero "cosa accade nel mondo" sulle pagine dei quotidiani e sono capitato su un articolo di giornale che parlava del successo del Pulcino, o di PPAP, non ricordo esattamente quale dei due, parliamo comunque di quelle cose da ridere che diventano successi virali. Dando un'occhiata ai commenti all'articolo, mi colpì subito un fatto. La maggior parte dei commenti erano tutti dello stesso tipo: ci andavano giù pesanti, insulti anche violenti, in stile Napalm51 di Crozza (andatelo a vedere su Youtube), ma attenzione, badavano bene tutti di evidenziare che ascoltavano tutti roba forte, che il Pulcino non era vera musica. Chi Queen o Led Zeppelin, chi Beethoven o Mozart, il valore dei grandi artisti scomodati a far da contraltare a quella scemenza era davvero importante. Ero consapevole di aver appena individuato un problema di tipo psichiatrico. Mi spiego: se uno ha bisogno di sottolineare che ascolta i Genesis mentre commenta il Pulcino Pio significa solo due cose. Uno) che è terrorizzato dal poter apparire inadeguato, o stupido, o chissà cosa, agli occhi degli altri. Due) che ha selezionato, nella sua testa, una serie di band e di artisti che nella sua testa lo fanno apparire colto e seriosamente appassionato di musica, ma che in realtà non è capace di distinguere culturalmente Freddie Mercury dal Pulcino Pio. Non solo li mette nella stessa categoria, ma li paragona pure. E non ci ride su. Ecco io sono convinto che questo fatto sicuramente limita l'ascesa di nuove scene musicali. Per individuare un fermento, una scena, una nuova idea devi avere proprio queste stesse caratteristiche al contrario.

Bisogna pensare con la propria testa, senza condizionamenti, e avere ascoltato tanta tanta musica. Si può farlo, è possibile. Nonostante le multinazionali e la critica musicale. Nonostante le radio. Io vi invito tutti a farlo. Seguite le nuove scene musicali. Cercatele. Andate ad ascoltarvi pezzi su Youtube che hanno 1000 visualizzazioni, non 900 milioni. Fatelo per tutti i creativi ma anche per voi stessi.

Un bacio a tutti e, mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate! Alla prossima :)







           

 




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