Giusto Pio

KUM - percorsi intrecciati con Franco Battiato

Data di uscita: 15/11/2024

Classica Contemporanea Cinematica
KUM è un lavoro che ripercorre l’attività del Mo Giusto Pio dalla fine degli anni ’70 ai primi anni ’90. Poco più di un decennio di sperimentazione sonora in cui il fil rouge che collega le quattro opere in esso contenute, Rappel, Alla Corte di Nefertiti, MeDea e A.D.A.M. Ubi Es, è rappresentato dal continuo confronto con il Mo Franco Battiato; un incontro tra i due capace di tracciare, a distanza di quasi mezzo secolo, quell’indirizzo filologico che ci permette di comprendere l’origine della visione post-avanguardista di Giusto Pio. Scambi di idee, visioni, approcci e suggestioni che si traducono nella ricerca di nuove sonorità tra frammenti musicali e “contrappunti astrali in frequenze e colori nel tempo”, da qui il sotto-titolo “Percorsi intrecciati con Franco Battiato”.



RAPPEL, 1978

Dopo Juke Box (1977), l’inseparabile coppia Pio - Battiato si dedicò, fra il settembre 1978 ed
il marzo del 1979, a tre composizioni da intendersi come un unicum poiché condividono la stessa ricerca e visione di un Suono svincolato da ogni forma di linguaggio: Motore immobile, L’Egitto prima delle
sabbie e Rappel.
Motore immobile di Pio (terminato nell’ottobre 1978) fu pubblicato soltanto nel 1979 per non interferire con l’uscita/pubblicazione de L’Egitto prima delle sabbie di Battiato (settembre 1978), mentre Rappel (depositato da Pio in SIAE nel marzo 1979) rimase invece inedito. È dunque con sommo piacere che Cramps Music & Miraloop propongono ora la pubblicazione di Rappel, a 45 anni dalla sua creazione.

Rappel è una composizione per pianoforte e nastro magnetico della durata di circa 15 minuti. Si tratta di una variante
dell’idea musicale già affrontata da Battiato e Pio sia ne L’Egitto prima delle sabbie che in Ananta (Motore Immobile),
implementata in questo caso dall’utilizzo di due registratori Revox che a quell’epoca rappresentavano una novità: il
secondo dei due Revox fu appositamente acquistato da Battiato per la realizzazione di Rappel.
Battiato spiegava, nel seguente modo, come venivano registrati i nastri magnetici dei brani: «Interpolavo le composizioni aiutandomi con il Revox, uno strumento a nastro che avevo dominato a fatica, da autodidatta». In Rappel gli armonici al pianoforte venivano ripresi dai due registratori Revox fra loro collegati in un loop il cui risultato si sovrapponeva ai suoni del pianista/esecutore.
«È difficile immaginare i risultati per via delle complicate iterazioni», scriveva Franco nelle note di accompagnamento a Rappel.
Vi è in questa composizione un’attenzione per gli armonici e le risonanze cui non facciamo mai caso - sebbene costituiscano l’essenza del suono stesso - che hanno il potere di smantellare la gabbia spazio/temporale creata dai nostri condizionamenti mentali e dalle distrazioni acustiche del linguaggio musicale codificato. Gli armonici riecheggiano eterei sopra un oceano di metaforica sabbia e di reminiscenze del mondo degli Antichi, depositari del sapere oscurato dal decadimento della moralità (Kali Yuga).

Giusto Pio: «Battiato mi ha incoraggiato a pubblicare il mio primo disco che era appunto di musica sperimentale.
Il titolo era Motore immobile... Dopo abbiamo registrato anche un altro disco, rimasto inedito, con un brano che si intitolava Rappel. L’uno e l’altro si possono iscrivere nella post avanguardia, nella ricerca sperimentale di nuove sonorità. Sia Ananta che Rappel sono termini e concetti utilizzati anche nella dottrina filosofico/esoterica orientale del mistico greco/armeno Georges Ivanovic Gurdjieff (sulla concezione della vita, dell’anima, dell’universo) e ai corsi di Henry Thomasson, suo allievo, che Franco prima e anch’io dopo frequentavamo in quel periodo… Il suono uniforme,
continuo (ma anche scale/fughe del pianoforte) fino alla dissoluzione nel silenzio preparavano e inducevano, nelle mie intenzioni, al raccoglimento, all'interiorizzazione, alla ricerca delle realtà trascendenti».
Rappel, con Ilario Nicotra al pianoforte, fu eseguito dal vivo unicamente nel marzo 1981 al Teatro di Porta Romana a Milano, nell’ambito della rassegna sul tema dell’immagine nella musica, intitolata L’orecchio e l’occhio (per una nuova geografia del suono), organizzata da Gianni Sassi.

Per ulteriori approfondimenti rimandiamo al libro di Stefano Pio: “Franco Battiato & Giusto Pio: uno sguardo dal ponte” Antiga edizioni, maggio 2023

ALLA CORTE DI NEFERTITI, 1988

Nella civiltà dell’antico Egitto, i cui richiami affascinarono Battiato e Giusto Pio,
l’origine sonora dello spazio/tempo e del mondo manifesto si esprimeva nella parola nome, indicata graficamente con il geroglifico della Bocca (R) posto accanto a quello delle Acque (N): l’azione del soffio vitale della Bocca creatrice sulle Acque di un mare ancora fermo e indistinto.
L’abisso egizio di Nun-Nunet è quell’Oceano primordiale che Giusto Pio, nel riferimento alla spiritualità dei Veda, ha sempre cercato di evocare a partire da Ananta, brano del vinile Motore Immobile.

Giusto Pio: «Quando, sul finire degli anni ’80, sono ritornato da Milano a Castelfranco Veneto, rallentando l’attività accanto a Franco, ho ripreso a studiare, comporre, creare nuovi suoni con l’ausilio delle apparecchiature con la “frequenzatura” spaziando quasi dalle origini fino alle più recenti prospettive in campo sonoro». «Alla Corte di Nefertiti è stato composto nel 1988 e segna il mio ritorno alla sperimentazione sonora che è alla base di Motore immobile ma qui in forma meno stilizzata e scabra. Nelle mie intenzioni vuole essere in certo qual modo una sorta di viaggio nell’inconscio che trae spunto dalle forti, profonde impressioni, suggestioni, emozioni provate quando frequentavo con Franco gli incontri con Thomasson e cercavo di guardare dentro me stesso. Dal punto di vista musicale ho volute imprimere a tutte le parti un ritmo diverso per cui, come nella mia più recente Dolomiti Suite, sembra che la musica voli, assuma un movimento circolare e trasmetta una sensazione di instabilità. Milo Bianca, che è un pittore astratto che a me piace molto, ha realizzato sei grandi pannelli ispirati a questo album».

«Ed è stato ancora Franco a finanziarmi la pubblicazione di Alla Corte di Nefertiti con la sua casa editrice, L’Ottava. Il titolo non è soltanto un mio omaggio a L’Egitto prima delle sabbie, ma è anche giustificato dal fatto che si riallaccia in qualche modo alle ricerche sulle sonorità che Franco perseguiva in quella sua composizione e che era il campo su cui mi muovevo anch’io fin dalle mie esercitazioni giovanili».
Il sottotitolo della composizione (poi accantonato al momento della sua pubblicazione nel 1988) era: “Contrappunti astrali in frequenze e colori nel tempo. Ogni colore osserva il proprio valore metronomico, se pur autonomo, in armonica simbiosi”. Un filo diretto collega dunque Alla Corte di Nefertiti con le esperienze artistiche vissute solidamente da Giusto Pio e Franco Battiato nel 1978 e con la creazione dei due titoli L’Egitto prima
delle sabbie e Motore Immobile.

MEDEA, 1991

La suite MeDea (1991), fu scritta da Giusto Pio per la compagnia teatrale “Krypton”,
specializzata in opere d’avanguardia. Come sempre accadeva in quegli anni, essa fu il frutto del continuo confronto ideologico e sperimentazione musicale di Pio e Battiato, artefici di innumerevoli composizioni
sperimentali.
Giusto Pio: «Nel 1991 sono stato coinvolto in un’altra interessante operazione teatrale dai Krypton, una compagnia di Firenze che lavora prevalentemente sulle luci ed è specializzata negli effetti luministici per “andare al corpo della parola teatrale” (l’anno dopo, nel 1992, ha curato l’allestimento dell’opera lirica-oratorio di Franco, “Gilgamesh”, per le luci e le visualizzazioni elettroniche).
Anche in questo caso si trattava di una tragedia greca, “MeDea”, rielaborazione da Euripide di Marco Palladini e per la regia di Giancarlo Cauteruccio, presentata in una rassegna-concorso di spettacoli teatrali. Mi è stato presentato il testo con l’indicazione dove si volevano gli interventi sonori e io ho scritto una serie di frammenti musicali che sono piaciuti e per i quali mi è stato assegnato il premio per il miglior commento musicale. A me erano invece piaciute le soluzioni luministiche inventate dal gruppo: per esempio, quando uccide i figli, MeDea si muove sul palcoscenico tra colonne di luce, evidenziate dal pulviscolo, come fosse un tempio; ad un certo punto si ferma, non grida più il proprio furore e disperazione, ha in mano un prisma di vetro e dal fondo della sala parte un raggio laser che si rifrange sul prisma e sembra una lama di coltello riverberando tutt’intorno e anche in cielo una luce rossa come sangue».
Il commento musicale di MeDea è diviso in 17 quadri o interventi sonori di lunghezza diversa, pensati da Pio anche sotto forma di colori ed immagini astratte: non a caso il libretto dell’opera era correlato da studi pittorici preparatori disegnati dall’autore stesso, visti come mezzo propedeutico per raggiungere il risultato sonoro prefissato.
Giusto Pio: «D’altra parte musica e pittura sono arti per me non soltanto contigue ma anche in qualche modo identiche, interscambiabili nel senso che io la musica la sento come forma e colori. Perciò definirei i miei disegni, le mie pitture come “riverberi” delle musiche. Cos’è il riverbero? Non è l’eco che un suono ripete quando si trova dentro uno spazio ampio ma chiuso, per esempio in una vallata; il riverbero è l’altro suono che nasce e dura, si prolunga per qualche secondo. Ebbene quando io suono, compongo o ascolto musica avverto intorno a me dei riverberi di questi suoni che ho tentato di visualizzare in queste forme, in questi disegni».
Franco Battiato: «La sua pittura, che si potrebbe definire musicale, genera suoni che rappresenta sotto forme d’onda. Immagina i colori come succedeva a Olivier Messiaen, e in qualche modo mi ricorda il lavoro di Henri Michaux sulle vibrazioni».
In MeDea «Il coro da impotente commentatore dell’azione diviene l’esortatore, il suggeritore delle modalità di rito iniziatico, a partire dai versetti formulari del “Libro Tibetano dei morti”. Perché il rito si compia, e da maga la donna si tramuti in dea, occorre liberarsi dagli affetti e sentimenti che hanno determinato il gesto omicida (...)». (Marco Caporali, libretto di Me Dea).
MeDea vinse il premio per la migliore colonna sonora al Festival di Massa Carrara nel 1991

A.D.A.M UBI ES, 1993

A.D.A.M. Ubi Es è l’acronimo di “Anima dell’anima mia, dove sei”. Abbiamo voluto includere questa composizione nel doppio vinile perchè proprio l’autore, negli ultimi anni della sua lunga carriera amava abbinarlo con Alla Corte di Nefertiti.
Ramana Maharshi (1879-1950), grande mistico indiano vissuto ai piedi della montagna sacra Arunachala in Tamil Nadu (India) scriveva: «Perciò si metta da parte questo corpo come se fosse veramente un cadavere. Non si borbotti “io”, ma si cerchi dentro con slancio che cos’è che ora splende dentro il cuore come “io”. Sotto l’incessante flusso dei più svariati pensieri sorge nel cuore la continua ininterrotta consapevolezza, silenziosa e spontanea, come “io dell’io”».
Punto di riferimento è l’essere senza tempo, la cui presenza si rivela effettiva nel suono/vibrazione, che ne costituisce l’evento fisico immediato, puro, gratuito. Come la luce si scompone nelle frequenze dei colori ed il suono negli armonici concomitanti, così l’essere fiorisce nel differenziarsi delle sue vive funzioni, che si sostanziano scorrendo in tutte le forme esperibili. Forme viventi, che nel pensiero riflesso, logico/analitico della mente ordinaria si tengono distinte, ordinate, classificate, irrigidite; ma poiché la creatività può rinnovarsi dove c’è relazione, qualsiasi attitudine separativa ne contrasta il flusso spontaneo e ne inibisce la fecondità. Quel potere generativo tuttavia rimane disponibile sempre, al di là delle barriere che la coscienza individuale edifica per preservarsi e perdurare, pur nei modi conformi alla propria costitutiva provvisorietà.
Un riferimento archetipico al potere del suono non potrebbe fare a meno di ricongiungersi anche alla valenza generativa di quell’ordine dinamico di rapporti armonici fra grandezze attraverso cui l’originario si specifica, differenziandosi nel prisma della manifestazione: poiché per questa via il sovra-sensibile si fa sensibile, ciò suggerisce la possibilità di ritornare all’origine lungo il percorso inverso, l’Ubi Es presente nel titolo del brano ammonisce come essa vada ricercata nella profondità del Sé che trascende ogni manifestazione.
La ricerca di Pio e Battiato è sperimentale ma resta sempre fedele al suono, al suo nascere libero da concetti o significati, per legarsi con immediatezza all’anima di chi ascolta oltre che alla propria; non ne perde mai il contatto, in uno scambio sempre vivo e rinnovato con il pubblico, da cui deriva tuttora la grande aura di affetto che
circonda il loro ricordo. Nel 2000 A.D.A.M. Ubi Es è stato concesso dall’autore come commento sonoro per la mostra dell’artista Bruno Gripari intitolata Le vie dell’oro.

IL DOPPIO VINILE “KUM”, 2024

di Andrea Buranello, Emanuele Fraschini, Stefano Pio.
KUM è la radice di molte parole aramaiche e greche che portano al significato originario di risorgere trovando le risorse dentro di sé.
Ascoltare i brani di Giusto Pio e/o di Franco Battiato non è come guardare nello specchietto retrovisore per vedere ciò che ci siamo lasciati alle spalle. È ben altro!
Significa ripercorrere quegli anni carichi di inventiva, fervore e speranze, ma anche comprendere la cultura ed i linguaggi espressivi di quel periodo, rammentare da dove veniamo e, soprattutto, scorgere la
direzione in cui stiamo andando.
Le strade battute da Pio e Battiato, a volte complementari ed a volte simmetriche, hanno portato i due artisti ad intraprendere “Percorsi intrecciati” dai quali sono scaturiti brani contemporanei, ipnotici e
sorprendenti.
Registratori a nastro concatenati e strumenti sovrapposti in arditi e avveniristici esperimenti sono, ancora oggi, qualcosa di strabiliante e di inconsueto. I riverberi ed i campionatori digitali infatti, che attualmente riproducono ogni tipologia di effetto, timbrica e sonorità, non esistevano ancora negli anni in cui i brani proposti in questo doppio vinile furono concepiti.
La musicalità di Pio e Battiato rimane, tuttavia, ugualmente fuori dal comune: già ad un primo ascolto ci si rende conto delle rischiose progressioni armoniche e di come la loro unione artistica fosse complementare non solo sul piano tecnico (τέχνη), ma anche su quello umano nell’accezione più nobile del termine, che si traduce nella ricerca incondizionata del bene dell’altro (ἀγάπη).
Il bilanciamento tonale dei brani registrati su nastro magnetico è solido, compatto, fluido e avvolgente. I brani di Giusto Pio fanno sorgere domande, che non sempre trovano risposta in ciò che è già conosciuto, ma contengono anche tante immagini canalizzate nella sintesi additiva delle forme d’onda dell’Hammond (un organo elettromeccanico progettato da Laurens Hammond) o nei passaggi strumentali più arditi.
Nelle composizioni si percepisce la sensazione di voler rischiare, di voler navigare in acque inesplorate.
La musica diventa un luogo dove vengono liberate le fantasie, la voglia di conoscere e di capire le cose. Pio e Battiato erano un po’come Magellano: esploravano con alterità nuove misteriose rotte e, nonostante questo infondevano negli ascoltatori entusiasmo, fiducia e sicurezza nell’affrontare territori musicali mai attraversati prima
d’allora.
L’ascolto dei loro brani alimenta sensazioni nuove, inconsuete, ma anche positive perché in essi si percepisce ricerca, accuratezza, riflessione, così come premura e attenzione per l’altro, nonché delicatezza del contatto. Le canzoni e le sperimentazioni musicali sono creature viventi, lasciano tracce dentro di noi.

Recenti studi hanno scoperto come la musica e le parole in esse contenute siano potenti frecce che colpiscono precisi bersagli nella mente di ognuno di noi: in questo modo si trasformano in strumenti che modificano il cervello.
Giusto Pio, probabilmente, aveva già intuito questo incredibile potenziale; l’avvertenza impressa sulla copertina del suo storico disco Motore Immobile: “si consiglia l’ascolto ad un volume moderato”, conferma come l’autore volesse prendersi “cura” dell’ascoltatore non limitandosi ad immettere sul mercato un prodotto musicale.
Non illudiamoci di poter cantare o produrre suoni bellissimi se non sono accompagnati da una profonda partecipazione emotiva: solo questa motivazione crea ponti tra la realtà in cui ciascuno di noi vive e la realtà (e la solitudine) degli altri. Giusto Pio e Franco Battiato dicevano al mondo quello che il mondo aveva bisogno di “sentire”.
E l’ascolto dei loro brani (questo disco contiene peraltro anche due gioielli inediti a firma di Pio) aiuta a farci resistere alle mareggiate del tempo, ma soprattutto a rendere tutti noi consapevoli sognatori intenti a cogliere, con la necessaria attenzione, le emozioni che i suoni, ma anche i silenzi, vorrebbero comunicarci.
Perché solo nei sogni gli uomini sono felici: è da sempre così e la realtà
dei nostri tempi ci fa pensare che, probabilmente, lo sarà per sempre.



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